domingo, 26 de abril de 2009

MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS - 26.04.2009

I

PROFILO BIOGRAFICO
DEI BEATI


ARCANGELO TADINI
Presbitero
Fondatore della Congregazione
Delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth



BERNARDO TOLOMEI
Abate
Fondatore della Congregazione
Di Santa Maria di Monte Oliveto
dell’Ordine di San Benedetto



NUNO DE SANTA MARIA ÁLVARES PEREIRA
Religioso
dell’Ordine dei Carmelitani



GELTRUDE COMENSOLI
Vergine
Fondatrice dell’Istituto delle Suore Sacramentine



CATERINA VOLPICELLI
Vergine
Fondattrice della Congregazione
Delle Ancelle del Sacro Cuore



MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS - 26.04.2009 - Parte II
MISA DE CANONIZACIÓN DE LOS BEATOS
Canonización Beato Nuño Alvares Pereira



ARCANGELO TADINI


ARCANGELO TADINI, sacerdote bresciano vissuto tra il 1846 e il 1912, è una figura limpida e affascinante. Uomo intraprendente, prete autentico, ha intrecciato sapientemente rischio e fede, amore per gli uomini e amore per Dio, austerità e tenerezza.

Nasce a Verolanuova (Brescia) il 12 ottobre 1846. Conclusi gli studi elementari nel paese natale, frequenta il ginnasio a Lovere (Bergamo).

Nel 1864 entra nel seminario di Brescia e nel 1870 è ordinato sacerdote. Dal 1871 al 1873 è nominato vicario-cooperatore a Lodrino (Brescia), piccolo paese di montagna, e dal 1873 cappellano al santuario di Santa Maria della Noce, frazione di Brescia.

Nel 1885 inizia il suo servizio a Botticino Sera (Brescia) come vicario-cooperatore; due anni dopo, è nominato Parroco e vi rimane fino al 1912, anno della sua morte. All’inizio del suo mandato, dal pulpito afferma con forza: «Starò con voi, vivrò con voi, morirò con voi».

Gli anni vissuti a Botticino sono certamente i più fecondi della vita di don Tadini. Egli ama i suoi parrocchiani come figli e non si risparmia in nulla. Dà inizio alla Schola Cantorum, alla banda musicale, a varie Confraternite, al Terz’Ordine Francescano, alle Figlie di Santa Angela; ristruttura la chiesa, offre ad ogni categoria di persone la catechesi più adatta, cura la liturgia. Ha una particolare attenzione per la celebrazione dei Sacramenti. Prepara le omelie tenendo presente da una parte la Parola di Dio e della Chiesa, dall’altra il cammino spirituale della sua gente. Quando parla dal pulpito, tutti rimangono stupiti per il calore e la forza che le sue parole sprigionano.

La sua attenzione pastorale è rivolta soprattutto alle povertà del difficile periodo della prima industrializzazione: egli avverte che la Chiesa è chiamata in causa da chi soffre nelle fabbriche, nelle filande, nelle campagne... Per i lavoratori dà inizio all’Associazione Operaia di Mutuo Soccorso e, per le giovani del paese che maggiormente vivono nell’incertezza e subiscono ingiustizie, costruisce una filanda per dare loro un lavoro.

Nel 1900 il Tadini fonda la Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth: donne consacrate ma « operaie con le operaie» che educano le giovani lavoratrici non salendo in cattedra ma lavorando gomito a gomito con loro, non tenendo grandi discorsi madando l’esempio di guadagnarsi il pane con dignità e con il sudore della propria fronte. Uno scandalo per quel tempo in cui si pensava alle fabbriche come luoghi pericolosi, immorali e fuorvianti.

Il Tadini affida alle sue Suore l’esempio di Gesù, Maria e Giuseppe che nella Casa di Nazareth, nel silenzio e nel nascondimento, hanno lavorato e vissuto con umiltà e semplicità. Indica l’esempio di Gesù che non solo «ha sacrificato se stesso sulla croce» ma per trent’anni, a Nazareth, non si è vergognato di usare gli strumenti del carpentiere e di «avere le mani incallite e la fronte bagnata di sudore».

Per questa sua intraprendenza il Tadini ottiene calunnie e incomprensioni, anche da parte della Chiesa. In realtà egli precorre i tempi: egli intuisce che la Suora, operaia tra le operaie, può dare una comprensione più positiva del mondo del lavoro, visto non più come luogo avverso alla Chiesa, ma ambiente bisognoso di fermento evangelico, un mondo da incontrare più che da contrastare.

Egli stesso è consapevole che la sua Opera è anzitempo, ma è fermamente convinto che non è opera sua ma di Dio: «Dio l’ha voluta, la guida, la perfeziona, la porta al suo termine». La morte lo coglie quando il sogno della sua vita è ancora incompiuto, ma come seme affidato alla terra, a suo tempo, porterà frutti abbondanti.

I parrocchiani di Botticino intuiscono la santità del loro parroco e imparano ben presto a conoscere e a scoprire, sotto la sua riservatezza e austerità, il cuore di un padre attento e sensibile alla loro vita di stenti e di duro lavoro. Alle sue doti naturali egli unisce una grande capacità di entrare nella vita e nella quotidianità della gente e ben presto si parla di lui come di un prete santo, un uomo eccezionale... e, nel tempo, si dirà di lui «È uno di noi»!

Uno di noi quando, molto presto, percorre le vie del paese e il suo passo risuona come sveglia per chi si prepara ad iniziare una giornata di lavoro. Tutti sanno che quel sacerdote, innamorato di Dio e dell’uomo, porterà nella preghiera la vita e le fatiche della sua gente.

Uno di noi quando raccoglie le lacrime delle mamme preoccupate per la precarietà del lavoro dei figli, quando sogna, progetta e costruisce la filanda per le ragazze del paese, perché possano riscoprire la loro dignità di donne.

Uno di noi quando inventa la famiglia delle Suore Operaie, donne consacrate che, nei luoghi di lavoro, siano testimoni di un Amore grande nella semplice quotidianità della vita.

Uno di noi perché ancora ci sorride, ci accompagna nella nostra quotidianità e con le sue parole ci invita a seguire le sue orme: «La santità che guida al cielo è nelle nostre mani. Se vogliamo possederla, una cosa sola dobbiamo fare: amare Dio».

Con la Canonizzazione il Papa Benedetto XVI lo offre come esempio ai sacerdoti, lo indica come intercessore alle famiglie, lo dona come protettore ai lavoratori.


ARCANGELOTADINI


Abbé  ARCANGELOTADINI, prêtre du Diocèse de Brescia, vécut entre 1846 et 1912. C’ est une figure fascinante et limpide. Homme entreprenant et prêtre authentique, il a su nouer avec sagesse le risque et la foi, l’amour pour les hommes et l’amour pour Dieu, l’austérité et la tendresse.

Arcangelo Tadini est né à Verolanuova (Brescia-Italie), le 12 octobre 1846. Terminé ses études primaires dans son village natal, il fréquente le Gymnase à Lovere (Bergame).

En 1864, il entre au Grand Séminaire de Brescia et fut ordonné prêtre en 1870. De 1871 à 1873, il est nommé vicaire à Lodrino (Brescia), un petit village de montagne et dès 1873, il est Recteur au sanctuaire de Sainte Marie de la Noce, une petite fraction de Brescia.

Il commence son service comme vicaire à Botticino Sera (Brescia) en 1885, et deux ans après, il est nommé Curé de cette Paroisse et y reste jusqu’en 1912, année de sa mort. Au début de son mandat, de la chair de sa prédication, il affirme avec force: «Je serai avec vous, je vivrai avec vous, je mourrai avec vous».

Les années vécues à Botticino sont certainement les plus fécondes de la vie de l’Abbé Tadini. Il aime les Paroissiens comme ses fils et il ne se réserve en rien. Il donne naissance à la Chorale, à la bande musicale, à de diverses Confréries, au Tiers Ordre franciscain, aux Filles de Sainte Angèle Merici; il restaure l’Eglise, offre à chaque catégorie de personnes la catéchèse la plus adaptée et soigne la liturgie. Il porte une attention particulière à la célébration des Sacrements. Il prépare les homélies tenant présent d’un côté, la Parole de Dieu et de l’Eglise, de l’autre, le cheminement spirituel de ses paroissiens. Quand il parle de sa chaire, tous restent émerveillés par la chaleur et la force que ses paroles dégagent.

Son attention pastorale est orientée surtout vers les nouvelles pauvretés: pour les travailleurs, il donne naissance à l’Association Ouvrière du Secours Mutuel et construit une filature pour donner du travail aux jeunes du village qui, particulièrement, vivent dans l’incertitude et subissent des injustices. En 1900, Tadini fonde la Congrégation des Soeurs Ouvrières de la Sainte Maison de Nazareth: femmes consacrées, « ouvrières avec les ouvrières» qui éduquent les jeunes travailleuses, en travaillant coude à coude avec elles sans tenir de grands discours mais donnant l’exemple de gagner le pain par la sueur de leur front; un scandale pour ce temps-là qui considérait les usines comme des lieux dangereux et de perdition.

Le fondateur propose aux Soeurs l’exemple de Jésus, Marie et Joseph qui, dans la Maison de Nazareth, ont travaillé et vécu dans le silence et la vie cachée avec humilité et simplicité.

Il indique l’exemple de Jésus qui, non seulement, «s’est sacrifié sur la croix» mais qui, pour trente ans à Nazareth, n’a pas eu honte d’employer les outils de charpentier et d’«avoir le front trempé par la sueur de la fatigue et les mains rendues calleuses par le travail».

Pour cet esprit entreprenant, Tadini subit des calomnies et de incompréhensions,même de la part de l’Eglise. En réalité, il devance les temps: il devine que la Soeur, ouvrière parmi les ouvriers, indique une compréhension très positive du monde du travail vu, non plus comme un lieu contraire à l’Eglise, mais un milieu qui a besoin d’un ferment évangélique, un monde plus à rencontrer qu’à contester.

Il est lui-même conscient que son oeuvre est née avant le temps, mais il est fermement convaincu que cette fondation n’est pas son oeuvre propre mais celle de Dieu: «Dieu, qui l’a voulue, la guide, la perfectionne, la conduit à son terme». La mort le prend quand le rêve de sa vie n’est pas encore accompli, mais comme un grain enfoui dans la terre, au temps voulu, il portera beaucoup de fruits.

Les paroissiens de Botticino perçoivent la sainteté de leur curé et très tôt, ils apprennent à connaître et à découvrir, caché sous sa discrétion et son austérité, le coeur d’un père attentif et sensible à leur vie de misère et de travail dur. A ses dons naturels, il unit une grande capacité d’entrer dans la vie et dans la quotidienneté des gens et bien vite, on parle de lui comme d’un prêtre saint, un homme exceptionnel... et, plus tard, on dira de lui «il est un de nous»!

Un de nous quand, très tôt, il parcourt les rues du village et son pas résonne comme un réveil pour qui se prépare à commencer une journée de travail. Tous savent que ce prêtre, passionné de Dieu et de l’homme, portera dans sa prière la vie et les fatigues de ses gens.

Un de nous quand il recueille les larmes des mères préoccupées par la précarieté du travail de leurs fils, quand il rêve, projette et construit la filature pour les filles du village pour qu’elles puissent redécouvrir leur dignité de femmes.

Un de nous quand il fonde la Famille des Soeurs Ouvrières, femmes consacrées qui, dans les champs de travail, sont témoins d’un Amour grand dans la simple vie ordinaire.

Un de nous car il nous sourit encore, nous accompagne dans notre vie quotidienne et avec ses paroles, il nous invite à suivre ses traces: «La sainteté qui conduit au ciel est dans nos mains. Si nous voulons la posséder, nous devons faire une seule chose: aimer Dieu».

Avec la Canonisation, Sa Sainteté Benoît XVI offre l’Abbé Tadini comme exemple aux prêtres, aux familles, il l’indique comme intercesseur, et aux travailleurs, il le leur donne comme protecteur.


ARCANGELO TADINI


ARCANGELO TADINI, sacerdote do interior de Brescia (Itália) que viveu de 1846 a 1912, é figura cristalina e fascinante. Homem de iniciativa, sacerdote autêntico, soube entrelaçar ousadia e fé, amor pelos homens e amor a Deus, austeridade e ternura.

Nasce em Verolanuova (Brescia) a 12 de outubro de 1846. Terminados os estudos primários na cidade natal, frequenta o ginásio em Lovere (Bergamo).

Em 1864 entra no Seminário Diocesano de Brescia e em 1870 é ordenado sacerdote. De 1871 a 1873 é nomeado vigário paroquial em Lodrino (Brescia), pequeno vilarejo de montanha, e a partir de 1873 é capelão no Santuário de S. Maria della Noce, periferia de Brescia.

Em 1885 inicia seu serviço em Botticino Sera (Brescia) como vigário; dois anos depois é nomeado pároco, aí permanecendo até 1912, ano de sua morte. No dia da posse afirma com força do púlpito: «Estarei com vocês, viverei com vocês, morrerei com vocês».

Os anos vividos em Botticino são os mais fecundos da vida do Tadini. Ele ama os seus paroquianos como filhos e a eles se doa sem medida. Dá inicio ao coral, à banda musical, a várias Confrarias, à Terceira Ordem Franciscana, às Filhas de S. Ângela Merici; reforma a igreja, oferece a cada categoria de pessoas a catequese mais apropriada, cuida da liturgia. Põe especial atenção na celebração dos Sacramentos. Prepara as homilias levando em consideração tanto a Palavra de Deus e da Igreja como a caminhada espiritual do seu povo. Quando fala do púlpito, todos ficam encantados pelo calor e a força que suas palavras transmitem.

Sua atenção pastoral dirige-se sobretudo às novas pobrezas: para os trabalhadores dá início à Associação Operária de Mútuo Socorro e constrói uma fiação (fábrica têxtil) para dar trabalho às jovens da cidade que mais sofrem com a insegurança e a exploração.

Em 1900 o Tadini funda a Congregação das Irmãs Operárias da Santa Casa de Nazaré: mulheres consagradas, mas «operárias com as operárias» que educam as jovens trabalhadoras não subindo em cátedra, mas trabalhando lado a lado com elas; não proferindo grandes discursos, mas dando o exemplo de ganhar o pão com o suor do próprio rosto. Escândalo para aquela época na qual as fábricas eram tidas por lugares perigosos e desviantes.

Tadini oferece a suas Irmãs o exemplo de Jesus, Maria e José que na Casa de Nazaré, no silêncio e escondimento, trabalharam e viveram com humildade e simplicidade. Aponta o exemplo de Jesus que não só «sacrificou a si mesmo na cruz» mas durante trinta anos, em Nazaré, não se envergonhou de usar as ferramentas de carpinteiro e de «ter as mãos calejadas e o rosto lavado de suor».

Por este seu espírito empreendedor, Tadini ganha calúnias e incompreensões, também por parte da Igreja. Na realidade ele precorre os tempos: intui que a Irmã, operária entre as operárias, indica uma compreensão mais positiva do mundo do trabalho, não mais visto como lugar contrário à Igreja, mas sim ambiente necessitado de fermento evangélico, um mundo a ser encontrado mais que contrastado.

Ele mesmo tem consciência de que a sua Obra nasceu antes do tempo, mas está firmemente convicto que não é obra dele mas de Deus: «Deus a quis, a orienta, a aperfeiçoa, a conduz a bom termo». A morte o colhe quando o sonho de sua vida ainda não se completou, mas, como semente jogada na terra, no tempo certo produzirá frutos abundantes.

Os Paroquianos de Botticino intuem a santidade de seu pároco e logo aprendem a conhecer e a descobrir que, debaixo de sua discrição e austeridade, existe um coração de pai atento e sensível à vida do povo feita de sacrifícios e duro trabalho. Às seus dotes naturais ele une grande capacidade de entrar na vida e no cotidiano das pessoas e em breve se fala dele come de um sacerdote santo, um homem extraordinário... Mais tarde se dirá dele: «É um de nós»!

Um de nós quando, cedo pela manhã, percorre as ruas da cidade e o seu passo ressoacomo despertador a quemse prepara para iniciar um novo dia de trabalho. Todos sabem que aquele sacerdote, apaixonado por Deus e pela humanidade, levará na oração a vida e as fadigas do seu povo.

Um de nós quando recolhe as lágrimas das mães preocupadas com a precariedade do trabalho dos filhos; quando sonha, projeta e constrói a fiação para as jovens da cidade a fim de que possam redescobrir sua dignidade de mulheres.

Um de nós quando inventa a família das Irmãs Operárias, mulheres consagradas que, nos lugares de trabalho, sejam testemunhas de um Amor maior no simples cotidiano da vida.

Um de nós porque ainda nos sorri, nos acompanha no nosso dia a dia e com suas palavras nos convida a seguir seus passos: «A santidade que nos leva ao céu está em nossas mãos. Se queremos possuí-la, uma coisa apenas precisamos fazer: amar a Deus».

Com a Canonização o Papa Bento XVI o oferece como exemplo para os sacerdotes, o aponta como intercessor para as famílias, o entrega como protetor aos trabalhadores.




BERNARDOTOLOMEI


BERNARDOTOLOMEI  nacque a Siena il 10 maggio 1272. Ricevette al battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel Collegio di San Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo (1291). Studiò materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.

In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel tufo. La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.

Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco, attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro riguardi, nella visione della «scala di Giacobbe». Non erano sacerdoti, tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga, «essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro conosciuti».

Il Cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo (tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi, si recò dal Vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto di erezione per il futuro monastero di Santa Maria di Monte Oliveto, da istituire «sub regula sancti Benedicti» (26 marzo 1319), con alcuni privilegi ed esenzioni; il Vescovo accolse, tramite un legato (il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati presso la chiesa della Santissima Trinità in Arezzo), la loro professione monastica. Scegliendo la Regola di San Benedetto, Bernardo dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna, i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.

Il 1° aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa, evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato «Monte Oliveto», a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e sito tradizionale dell’Ascensione. Gli eremiti divennero monaci secondo lo spirito della Regola di San Benedetto, pur con alcuni mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal Vescovo di Arezzo (documento del Vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il 1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura, da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.

Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis: approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del 21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla Summi magistri (20 giugno 1336) dal Papa cistercense Benedetto XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente recepite dai Capitoli Generali olivetani.

Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di Santa Maria di Monte Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto l’autorità di un priore. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’Arcivescovo di Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa —per svolgere la funzione abbaziale—motivata da una persistente infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e da apparizioni di Santi (per esempio San Michele).

Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, della quale ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla sua opera, Bernardo ottenne dal Papa Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina, detta «Santa Maria di Monte Oliveto». In questo modo, Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.

Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di San Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la tradizione fissò al 20 agosto 1348. Questo eroe di penitenza e martire di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948, in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato. Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.

Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale, rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un uomo che della regola di San Benedetto si era fatto seguace sincero; consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra Scrittura.

Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e l’abito bianco.

Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel 1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia (periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa nel secolo XX.


BERNARDO TOLOMEI


BERNARDO TOLOMEI, son of Mino Tolomei, was born in Siena on the 10th of May 1272. At his baptism he was given the name Giovanni. He was probably educated by the Dominicans at their College of San Domenico di Camporegio in Siena. He was knighted by Rodolfo I d’Absburgo († 1291). While studying law in his home town, he was also a member of the Confraternity of the Disciplinati di Santa Maria della Notte dedicated to aiding the sick at the hospital della Scala. Due to a progressive and almost total blindness, he was forced to give up his public career. In 1313, in order to realize a more radical Christian and ascetic ideal, together with two companions (Patrizio di Francesco Patrizi † 1347 and Ambrogio di Nino Piccolomini † 1338) both noble Sienese merchants and members of the same Confraternity, he retired to Accona on a property belonging to his family, about 30 km south-east of the city. It was here that Giovanni, who in the mean time had taken the name Bernardo out of veneration for the holy Cistercian abbot, together with his two companions, lived a hermitic penitential life characterised by prayer, manual work and silence.

Towards the end of 1318, or the beginning of 1319, while deep in prayer, he saw a ladder on which monks in white habits ascended, helped by angels, and awaited by Jesus and Mary.

In order to secure the legal position of his group, Bernardo, together with Patrizio Patrizi, visited the bishop of Arezzo, Guido Tarlati di Pietramala (1306-C1327) under whose jurisdiction Accona fell at the time. On the 26th March 1319 he was given a Decree authorising him to build the future monastery of Santa Maria di Monte Oliveto, and instituted “sub regula sancti Benedicti”, with certain privileges and exemptions. Through his legate, the bishop received their monastic profession. In choosing the Rule of St Benedict, Bernardo accepted Benedictine coenobitism and, wishing to honour Our Lady, the founders wore a white habit. Welcoming the small group of monks, the bishop said: “Since your fellow citizens glory in placing themselves under the patronage of the Virgin, and because of the virginal purity of the glorious Mother, it pleases you to wear a white monastic habit, therefore showing outwardly that purity which you harbour within” (Antonio di Barga, Cronaca 5). The white habit characterised various forms of medieval monasticism, amongst which the Camaldolese, Carthusians, Cistercians and the monks of Montevergine.

With the laying of the first stone of the church on the 1st of April 1319, the monastery of Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore was born. The hermits became monks according to the Rule of St Benedict to which they made some institutional changes. The most characteristic element of this institutional change recorded in an episcopal document 28th March 1324, was the temporariness of the abbatial office, and the abbot-elect would have to be confirmed by the bishop of Arezzo. When the time came to elect an abbot, Bernardo succeeded in withdrawing himself from those eligible because of his infirmity of sight. Therefore, Patrizio Patrizi was elected first abbot (1st of September 1319). Two other abbots followed: Ambrogio Piccolomini (1st of September 1320) and Simone di Tura (1st of September 1321). On the 1st of September 1322, Bernardo could no longer oppose the wishes of his brethren and so became the fourth abbot of the Monastery he founded, remaining abbot until his death. An Act dated 24st September 1326 attests that the Apostolic Legate, Cardinal Giovanni Caetani Orsini († 1339), dispensed abbot Bernardo from the Canonical impediment of Infirmity of Sight, hence validating his election. From Avignone, with three Bulls dated 21st January 1344 (Significant Vestrae Sanctitati: acknowledges the foundation and requests pontifical privileges; Vacantibus sub religionis: canonical approval of the new community; Solicitudinis pastoralis officium: the faculty to erect new monasteries in Italy) Clemente VI approved the Congregation which numbered ten monasteries. Bernardo did not go to Avignone himself, but sent two monks: Simone Tendi and Michele Tani.

Significant evidence of the spiritual personality of Bernardo consists in the fact that, even though the monks had decided not to re-elect an abbot at the end of his annual mandate, they decided to ignore this, re-electing Bernardo for twenty-seven consecutive years, until his death. Another act of trust in Bernardo’s paternity was seen in the General Chapter of the 4th of May 1347 when the monks granted him the faculty to govern without recourse to the Chapter and the brethren, trusting that he would do all in conformity to God’s Will and for the salvation of all.

Bernardo tried at least twice, in 1326 and 1342, to lay down the abbatial office, declaring to the Pope’s Legate and Jurists that he was not a priest but only in Minor Orders, also citing the existing dispensation from his function as abbot because of his persistent infirmity of vision. However his leadership was asserted fully legitimate even according to the canonical norms of the time. With the Pontifical Approbation of a new Benedictine Congregation named “Santa Maria di Monte Oliveto”, Bernardo is the initiator of a resolute Benedictine monastic movement.

Bernardo left his monks an example of a holy life, the practice of the virtues to a heroic level, an existence dedicated to the service of others, and to contemplation. During the Plague of 1348 Bernardo left the solitude of Monte Oliveto for the monastery of San Benedetto a Porta Tufi in Siena. In the city, the disease was particularly dire. On the 20th August 1348, while helping his plague-stricken monks, he himself, along with 82 monks, fell victim of the Plague.

This hero of penance and martyr of charity did not go by unnoticed, as Pius XII observed in a letter sent to Abbot GeneralDom Romualdo M. Zilianti on the 11th April 1948, to commemorate the forthcoming sixth centenary of the death of Blessed Bernardo. The venerable abbot was buried near the monastery church in Siena. All the plague-stricken bodies were put in a common pit of quick-lime outside the church. Unfortunately the search for the bodies of the victims of the plague, both in Siena and in and around the Abbey of Monte Oliveto Maggiore, has been unsuccessful to this day.




NUNO ÁLVARES PEREIRA


NUNO ÁLVARES PEREIRA  nasceu em Portugal a 24 de Junho de 1360, muito provavelmente em Cernache do Bonjardim, sendo filho ilegítimo de fr. Álvaro Gonçalves Pereira, cavaleiro dos Hospitalários de S. João de Jerusalém e Prior do Crato, e de D. Iria Gonçalves do Carvalhal. Cerca de um ano após o seu nascimento o menino foi legitimado por decreto real, podendo assim receber a educação cavalheiresca típica dos filhos das famílias nobres do seu tempo. Aos treze anos entra como pajem da rainha D. Leonor, tendo sido bem recebido na Corte e acabando por ser criado pouco depois cavaleiro. Aos dezasseis anos casa-se, por vontade de seu pai, com uma jovem e rica viúva, D. Leonor de Alvim. Da sua união nascem três filhos, dois do sexo masculino, que morrem em tenra idade, e uma do sexo feminino, Beatriz, a qual mais tarde viria a desposar o filho do rei D. João I, D. Afonso, primeiro duque de Bragança.

Quando o rei D. Fernando I morreu a 22 de Outubro de 1383 sem ter deixado filhos varões, o seu irmão D. João, Mestre de Avis, viu-se envolvido na luta pela coroa lusitana, que lhe era disputada pelo rei de Castela por ter desposado a, filha do falecido rei. Nuno tomou o partido de D. João, o qual o nomeou Condestável, isto é, Comandante supremo do exército. Nuno conduziu o exército português repetidas vezes à vitória, até se ter consagrado na batalha de Aljubarrota (14 de Agosto de 1385), a qual acaba por determinar à resolução do conflito.

Os dotes militares de Nuno eram no entanto acompanhados por umaespiritualidade sincera e profunda.Oamor pela eucaristia e pela Virgem Maria são a trave-mestra da sua vida interior. Assíduo à oração mariana, jejuava em honra da Virgem Maria às quartasfeiras, às sextas, aos sábados e nas vigílias das suas festas. Assistia diariamente à missa, embora só pudesse receber a eucaristia por ocasião das maiores solenidades. O estandarte que elegeu como insígnia pessoal traz as imagens do Crucificado, de Maria e dos cavaleiros S. Tiago e S. Jorge. Fez ainda construir às suas próprias custas numerosas igrejas e mosteiros, entre os quais se contam o Carmo de Lisboa e a Igreja de S. Maria da Vitória, na Batalha.

Com a morte da esposa, em 1387, Nuno recusa contrair novas núpcias, tornando-se um modelo de pureza de vida. Quando finalmente se alcançou a paz, distribui grande parte dos seus bens entre os seus companheiros, antigos combatentes, e acabo por se desfazer totalmente daqueles em 1423, quando decide entrar no convento carmelita por ele fundado, tomando então o nome de frei Nuno de Santa Maria. Impelido pelo Amor, abandona as armas e o poder para revestir-se da armadura do Espírito recomendada pela Regra do Carmo: era a opção por uma mudança radical de vida em que sela o percurso da fé autêntica que sempre o tinha norteado. Embora tivesse preferido retirar-se para uma longínqua comunidade de Portugal, o filho do rei, D. Duarte, de tal o impediu. Mas foi muito difícil proibir-lhe que se dedicasse a pedir esmola em favor do convento e sobretudo dos pobres, os quais continuou sempre a assistir e a servir. Em seu favor organiza a distribuição quotidiana de alimentos, nunca voltando as costas a um pedido. O Condestável do rei de Portugal, o Comandante supremo do exército e seu guia vitorioso, o fundador e benfeitor da comunidade carmelita, ao entrar no convento recusa todos os privilégios e assume como própria a condição mais humilde, a de ”frade donato”, dedicando-se totalmente ao serviço do Senhor, de Maria—a sua terna Padroeira que sempre venerou —, e dos pobres, nos quais reconhece o rosto de Jesus.

Significativo foi o dia da morte de frei Nuno de Santa Maria, o domingo de Páscoa, 1 de Abril de 1431, passando imediatamente a ser reputado de “santo” pelo povo, que desde então o começa a chamar «Santo Condestável».

Mas, embora a fama de santidade de Nuno se mantenha constante, chegando mesmo a aumentar, ao longo dos tempos, o percurso do processo de canonização será bem mais acidentado. Promovido desde logo pelos soberanos portugueses e prosseguido pela Ordem do Carmo, depara com numerosos obstáculos, de natureza exterior. É apenas em 1894 que o P. Anastasio Ronci, então postulador geral dos Carmelitas, consegue introduzir o processo para o reconhecimento do culto do Beato Nuno «desde tempos imemoriais», acabando este por ser felizmente concluído, apesar das dificuldades próprias do tempo em que decorre, no dia 23 de Dezembro de 1918 com o decreto Clementissimus Deus do Papa Bento XV.

As suas relíquias foram trasladadas numerosas vezes do sepulcro original para a Igreja do Carmo, até que, em 1961, por ocasião do sexto centenário do nascimento do Beato Nuno, se organizou uma peregrinação do precioso relicário de prata que as continha; mas pouco tempo depois é roubado, nunca mais tendo sido encontradas as relíquias que contivera, tendo sido depostos, em vez delas, alguns ossos que tinham sido conservados noutro lugar. A descoberta em 1966 do lugar do túmulo primitivo contendo alguns fragmentos de ossos compatíveiscom as relíquias conhecidas reacendeu o desejo de ver o Beato Nuno proclamado em breve Santo da Igreja.

O Postulador Geral da Ordem, P. Felipe M. Amenós y Bonet, conseguiu que fosse reaberta a causa, que entretanto era corroborada graças a um possível milagre ocorrido em 2000. Tendo sido levadas a cabo as respectivas investigações, o Santo Padre, Papa Bento XVI, dispõe a 3 de Julho de 2008 a promulgação do decreto sobre o milagre em ordem à canonização e durante o Consistório de 21 de Fevereiro de 2009 determina que o Beato Nuno seja inscrito no álbum dos Santos no dia 26 de Abril de 2009.


NUNO ÁLVARES PEREIRA


NUNO ÁLVARES PEREIRA  nacque in Portogallo il 24 giugno 1360, molto probabilmente a Cernache do Bonjardim, figlio illegittimo di fra’ Álvaro Gonçalves Pereira, cavaliere degli Ospedalieri di San Giovanni di Gerusalemme e priore di Crato, e di donna Iria Gonçalves do Carvalhal. Circa un anno dopo la nascita, il bambino fu legittimato per decreto reale e poté ricevere l’educazione cavalleresca tipica dei rampolli delle famiglie nobili del tempo. A tredici anni divenne paggio della regina Leonor, fu accolto a corte e ben presto fu creato cavaliere. A sedici anni, per volere del padre, sposò una giovane ricca vedova, donna Leonor de Alvim. Dalla loro unione nacquero tre figli, due maschi, morti in tenera età, e una bambina, Beatriz, che avrebbe poi sposato il figlio del re João I, Afonso primo duca di Bragança.

Quando morì il re Fernando, morto senza eredi maschi il 22 ottobre 1383, suo fratello, João, si trovò impegnato nella contesa per la corona lusitana, che gli veniva contestata dal re di Castiglia, il quale aveva sposato la figlia del defunto re. Nuno si schierò dalla parte di João, il quale lo volle come suo connestabile, cioè comandante in capo dell’esercito. Nuno condusse così l’esercito portoghese alla vittoria in varie occasioni fino alla battaglia di Aljubarrota (14 agosto 1385), che avviò il conflitto verso la fine.

Le capacità militari di Nuno, però, erano temperate da una spiritualità sincera e profonda, L’amore per l’Eucaristia e per la Vergine costituivano i cardini della sua vita interiore. Assiduo nella preghiera mariana, digiunava in onore di Maria nei giorni di mercoledì, venerdì, sabato e nelle vigilie delle sue feste. Ogni giorno partecipava alla Messa, anche se poteva ricevere l’Eucaristia solo in occasione delle maggiori festività. Lo stendardo che scelse come insegna personale portava le immagini del Crocifisso, di Maria e dei santi cavalieri Giacomo e Giorgio. Fece costruire a proprie spese numerose chiese e monasteri, tra cui ricordiamo il Carmine di Lisbona e la chiesa di Santa Maria della Vittoria a Batalha.

Alla morte della moglie, nel 1387, Nuno non volle passare a nuove nozze e fu esempio di vita illibata. Quando si raggiunse la pace, donò ai reduci larga parte dei suoi beni, di cui si disfece totalmente quando, nel 1423, decise di entrare nel convento dei Carmelitani da lui fondato, prendendo il nome di fra’ Nuno di Santa Maria. Sospinto dall’Amore abbandonava in tal modo le armi e il potere per lasciarsi rivestire dell’armatura spirituale raccomandata dalla Regola del Carmelo. Compiva in tal modo un cambiamento radicale di vita, che portava a compimento il cammino di fede autentica che egli aveva sempre seguito. Avrebbe desiderato ritirarsi in una comunità lontana dal Portogallo, ma il figlio del re, don Duarte, glielo impedì. Fu assai difficile però proibirgli di dedicarsi all’elemosina a favore del convento e soprattutto dei poveri, che continuò ad assistere e a servire in ogni modo. Per loro organizzò una distribuzione quotidiana di cibo e non si tirava mai indietro di fronte alle loro richieste.

Il connestabile del re di Portogallo, comandante in capo dell’esercito e condottiero vittorioso, il fondatore e benefattore della comunità carmelitana, entrando in convento, non volle privilegi, ma scelse per sé il rango più umile di “frate donato” e si mise a totale servizio del Signore, di Maria, la tenera Patrona sempre venerata, e dei poveri, nei quali riconosceva il volto stesso di Gesù.

Significativo fu anche il giorno della morte di fra’ Nuno di Santa Maria: la domenica di Pasqua, il 1° aprile 1431, e subito fu considerato santo dal popolo, che iniziò a chiamarlo «o Santo Condestavel ».

Ma, se la fama di santità di Nuno restò costante e anzi aumentò con il tempo, ben più complesso è stato l’iter del processo di Canonizzazione, che iniziò ben presto promosso dai sovrani portoghesi e poi dall’Ordine Carmelitano, ma incontrò innumerevoli ostacoli di natura esterna. Solo nel 1894 il p. Anastasio Ronci, allora postulatore generale dei Carmelitani, riuscì a far introdurre il processo per il riconoscimento del culto ab immemorabili del Beato Nuno, che nonostante le difficoltà dovute ai tempi poté concludersi felicemente il 23 dicembre 1918 con il decreto Clementissimus Deus di Sua Santità Benedetto XV.

Anche le reliquie furono traslate più volte dal sepolcro originale nella chiesa del Carmine, finché, nel 1961, in occasione del sesto centenario della nascita del Beato Nuno, fu organizzato un pellegrinaggio del prezioso reliquiario d’argento, in cui erano state deposte, ma poco dopo esso venne rubato e le reliquie mai più ritrovate; al loro posto furono collocate alcune ossa già conservate altrove. La scoperta, nel 1996, del sito primitivo della tomba con alcuni frammenti di ossa compatibili con le reliquie note, ha riacceso il desiderio di vedere presto il Beato Nuno proclamato Santo dalla Chiesa.

Il postulatore generale dei Carmelitani, p. Felipe M. Amenós y Bonet, ottenne la ripresa della causa che nel frattempo era stata corroborata da un presunto miracolo, avvenuto nel 2000. Furono svolte le rispettive inchieste, e il 3 luglio 2008, il Santo Padre Benedetto XVI disponeva la promulgazione del decreto sul miracolo per la canonizzazione e durante il Concistoro del 21 febbraio 2009 ha disposto che il Beato Nuno venga iscritto nell’Albo di Santi il 26 aprile 2009.


NUNO ÁLVARES PEREIRA


NUNO ÁLVAREZ PEREIRA  was born in Portugal on 24th June 1360, most probably at Cernache do Bonjardim. He was illegitimate son of Brother Álvaro Gonçalves Pereira, Hospitalier Knight of St. John of Jerusalem and prior of Crato and Donna Iria Gonçalves do Carvalhal. About a year after his birth, the child was legitimized by royal decree and so was able to receive the knightly education typical for the children of the noble families of the time. At thirteen years of age he became page to Queen Leonor, was received at court and was created a knight. Aged sixteen, at the wish of his father, he married a rich young widow Donna Leonor de Alvim. The couple had three children: two boys who died early in life, and a girl, Beatrice, who would eventually marry Afonso, first Duke of Bragança, son of King João I.

When King Fernando died without an heir on 22nd October 1383, his brother João became involved in the struggle to win the Lusitanian crown, which was being contested by the King of Castile, who had married the daughter of the dead king. Nuno took João’s side, who wanted him as his constable, that is commander-in-chief of the army. Nuno led the Portuguese army to victory on various occasions up until the battle of Aljubarrota (14th August 1385), which brought the conflict to an end.

The military capabilities of Nuno were, tempered by a deep spirituality, a profound love of the Eucharist and of the Blessed Virgin, the main foundations of his interior life. Totally dedicated to Marian prayer, he fasted in Mary’s honour on Wednesdays, Fridays and Saturdays and on the vigil of her feasts. The banner he chose as his personal standard bore the image of the cross, of Mary and of the saintly knights James and George. At his own expense he built numerous churches and monasteries, among which was the Carmelite church in Lisbon and the church of Our Lady of Victories at Batalha.

Following the death of his wife in 1387, Nuno did not wish to marry again and became a model of celibate life. When peace finally came, he gave the bulk of his wealth to the veterans, the rest he would dispose of in 1423 when he decided to enter the convent of the Carmelites which he himself had founded, taking the name of Brother Nunoof Saint Mary. Animated by love, he abandoned power to serve the poor: it was a radical choice for a life, bringing to a peak the authentic path of faith which he had always followed. With this choice, he left behind the weapons of war and power in order to be vested in spiritual armor as the Rule of Carmel recommends. He would have wanted to withdraw to a community far away from Portugal, but the son of the king, Don Duarte, prevented it. No power could stop him from dedicating himself to the convent and above all to the poor, whom he continued to help and serve in every possible way. For them he organized a daily distribution of food and never hesitated in responding to their needs. The Commander of the King of Portugal, chief officer of the army and victorious leader, founder and benefactor of the Carmelite community, did not want any privileges when entering the convent but chose the humblest rank of a lay brother, putting himself at the service of the Lord, of Mary his ever venerated Patron, and of the poor in whom he recognized the face of Jesus himself.

Of significance too was the day of the death of Brother Nuno of Saint Mary: it was Easter Sunday, the 1st April 1431; following it he was immediately acclaimed a saint by the people who called him “O Santo Condestavel”.

While the fame of Nuno’s holiness remained constant and grew over time, the interim period leading up to the process of canonization was more complex. This process was begun by the Portuguese sovereigns and then by the Carmelite Order, but many obstacles were to get in the way. Only in 1894 did Fr. Anastasio Ronci, then Postulator General of the Carmelites, succeed in introducing the process of recognition of the cult ab immemorabili of Blessed Nuno, Despite the difficulties this came to a happy conclusion on 23rd December 1918 with the Decree Clementissimus Deus of Pope Benedict XV.

Even the relics were moved many times from the original tomb in the Carmelite church, until finally in 1961 on the occasion of the sixth centenary of the birth of Blessed Nuno, a pilgrimage was organized with the precious silver reliquary in which they were kept. Shortly after this was stolen and has never been recovered. In its place some bones, relics from other places, were gathered together and preserved. The discovery of the site of the original tombin 1996, together with some authenticated bone fragments, awakened the desire to hasten the proclamation of Blessed Nuno as a saint in the Church.

The Postulator General of the Carmelites, Fr. Felipe M. Amenós y Bonet, took up the cause again and this was corroborated by a miracle in the year 2000. The required inquiries having been undertaken, the Holy Father, Pope Benedict XVI made the proclamation of the decree approving the miracle on 3rd July 2008. During the Consistory of 21st February 2009 he indicated that Blessed Nuno would be enrolled in the list of saints on 26th April 2009.




GELTRUDE COMENSOLI


GELTRUDE COMENSOLI  nasce a Bienno in Val Camonica (Brescia) il 18 gennaio 1847, quinta di dieci figli. Lo stesso giorno della nascita i genitori, Carlo e Anna Maria Milesi, la portano al fonte battesimale della chiesa parrocchiale e le danno il nome di Caterina.

Nell’infanzia, Caterina conosce le gioie dell’innocenza e la spensieratezza dell’età. Il Signore, però, le fa sentire il desiderio di unirsi a lui intimamente: la piccola è sovente trasportata da un forte bisogno di raccogliersi nella preghiera e nella meditazione. A chi le chiede che cosa faccia, risponde: «Penso».

Verso i sette anni, non resistendo più al pressante invito di Gesù, una mattina molto presto, avvolta nell’ampio scialle nero della mamma, va nella vicina chiesa di Santa Maria e, ritta in piedi alla balaustra, riceve furtivamente la Prima Comunione. Caterina pregusta attimi di Cielo e giura eterno amore con Gesù.

La fanciulla diventa sempre più seria, più raccolta, assorbita dal solo pensiero di Gesù presente nel sacramento dell’Eucaristia che viene lasciato lunghe giornate nella solitudine.

Giovinetta si fa apostola dell’Eucaristia: vorrebbe portare Gesù Sacramentato su un’alta montagna, perché tutti lo vedano e lo adorino.

Istituisce fra le migliori ragazze la Compagnia della Guardia d’onore. Il suo ideale è Gesù. Il motto «Gesù amarti e farti amare» diventa il programma della sua vita.

Attratta ad una vita più perfetta, nel 1862 lascia la famiglia ed entra nell’Istituto delle Figlie di Carità, fondato da Santa Bartolomea Capitanio, a Lovere (Brescia). Caterina fa concepire di sé le migliori speranze, ma le mirabili e misteriose vie della Provvidenza sono diverse.

La Postulante s’ammala cosicché viene dimessa dall’Istituto. Dopo la guarigione, a causa delle mutate condizioni finanziarie della famiglia, lascia il paese e, non a caso, entra, in qualità di domestica, dapprima nella casa del Prevosto di Chiari, Don G. B. Rota, il quale qualche anno dopo sarà elevato alla sede episcopale di Lodi, e poi nella casa paterna della Contessa Fè-Vitali. Questi incontri ed esperienze saranno preziosi per Caterina.

Nel Natale 1876 ella rafforza i suoi legami con Gesù e scrive di suo pugno un impegnativo metodo di vita, al quale resterà sempre fedele.

Nella Festa del Corpus Domini 1878, con il permesso del suo confessore, rende perpetuo il suo voto di verginità, emesso la mattina della Comunione furtiva.

Senza trascurare i suoi doveri di domestica, Caterina si fa educatrice dei bambini di San Gervasio (Bergamo) e li guida sulla via dell’onestà e delle virtù cristiane e sociali. Con la preghiera assidua, la mortificazione, un’intensa vita interiore e l’esercizio delle opere di misericordia, Caterina si prepara ad accogliere la volontà del Signore.

Scioltasi dai legami familiari in seguito alla morte dei genitori, la giovane cerca il modo di concretizzare il suo ideale eucaristico. Apre il suo cuore a Mons. Speranza, allora Vescovo di Bergamo, il quale si trova a Bienno, ospite dei conti Fé-Vitali.

Egli la incoraggia e l’assicura che tale è la volontà di Dio.

Nel 1880, trovandosi a Roma con i suoi padroni, riesce a parlare con il Papa Leone XIII del suo progetto di fondare un Istituto religioso dedito all’adorazione eucaristica. Il Papa glielo modifica suggerendole di unire all’adorazione anche l’educazione delle giovani operaie.

Sorretta dal nuovo Vescovo di Bergamo, Mons. Guindani, e dal suo «Padre e Superiore», Don F. Spinelli, il 15 dicembre 1882 Caterina, insieme a due altre compagne, dà origine alla Congregazione delle Suore Sacramentine di Bergamo, con la prima ora di adorazione al Santissimo Sacramento.

Il 15 dicembre 1884, veste l’abito religioso e prende il nome di Suor Geltrude del Santissimo Sacramento.

La nuova Congregazione si rivela opera di Dio. Come tutte le opere di Dio, infatti, deve attraversare la bufera delle avversità, che mette a dura prova la tenera pianticella. Questa, però, ha già diramato le sue profonde radici nel terreno ubertoso della preghiera, della mortificazione, dell’umiltà. Non importa che Suor Geltrude con le suore, consigliata dallo stesso Vescovo di Bergamo, Mons. Camillo Guindani, succeduto a Mons. Speranza, debba abbandonare il primo nido e rifugiarsi a Lodi.

Il Vescovo di Lodi, Mons. Rota, accoglie paternamente quelle figlie, raccomandategli dal Vescovo di Bergamo e, con gesto magnanimo, procura loro in Lavagna di Comazzo una casa che diventa provvisoriamente la Casa Madre dell’Istituto.

Superate le prove, l’8 settembre 1891, Mons. Rota, con apposito Decreto, erige canonicamente l’Istituto. Madre Geltrude il 28 marzo 1892 ritorna a Bergamo, culla della Congregazione, alla quale dà un impulso decisivo e vitale.

L’opera di Dio è compiuta!

La Fondatrice ha dato ormai tutte la garanzie di continuità per l’adorazione pubblica perpetua a Gesù Sacramentato, ha trasfuso nelle Suore il suo prezioso patrimonio spirituale, che è spirito di preghiera, di sacrificio, di mortificazione, di obbedienza, di umiltà, di carità, soprattutto verso i poveri.

Può quindi andare incontro allo Sposo. Il 18 febbraio 1903, a mezzogiorno, Madre Geltrude, piegando il capo verso la chiesa dell’Adorazione, inizia l’adorazione eterna.

La notizia della morte si sparge e quanti la conoscono, specie la gente umile e povera da lei prediletta: unanimemente la dichiarano santa. Il 9 agosto 1926 la salma venerata è trasportata dal cimitero di Bergamo alla Casa Madre dell’Istituto da lei fondato, dove giace in apposita cappella, attigua alla chiesa dell’Adorazione. La Chiesa, esaudendo il desiderio di moltissime persone, il 18 febbraio 1928 apre il processo diocesano sulla santità della vita di Madre Geltrude, sulle sue virtù e sui miracoli, e lo conclude nel 1939.

Nello stesso anno, sotto il Pontificato di Pio XII, si apre il Processo Apostolico.

Il 26 aprile 1961, alla presenza del Santo Padre Giovanni XXIII, ha luogo la Congregazione generale, dopo la quale è data lettura del decreto sulla eroicità delle virtù praticate da Madre Geltrude, alla quale viene attribuito il titolo di Venerabile.

Il 1° ottobre 1989 Giovanni Paolo II la proclama Beata. Il 26 aprile 2009 Benedetto XVI la iscrive nell’albo dei Santi.


GELTRUDE COMENSOLI


GELTRUDE COMENSOLI  was born in Bienno in Val Camonica, Brescia, on January 18, 1847, the fifth of ten children. On the same day of her birth, her parents, Carlo and Anna Maria Milesi, took her to the parish Church to be baptized and she was given the name of Caterina. During her childhood, Caterina experienced the joys of innocence and light-heartedness typical of that age. However, the Lord instilled within her the necessity of being intimately united to Him: she was often drawn by a strong desire to pray and meditate deeply. To those who asked her what she was doing she would answer: “I am thinking”.

At the age of seven, unable to resist any longer the pressing invitation of Jesus, one day, in the very early morning, she wrapped herself in her mother’s black shawl and went to the nearby Saint Mary’s Church. Standing at the balustrade, she secretely made her First Communion. Caterina experienced a “heavenly” feeling and swore eternal love to Jesus. The child became more serious, meditative and more absorbed in the thought of Jesus present in the Eucharist who, she realized, was often left alone for many days. While still young, she became an Apostle of the Eucharist: she would have liked to take Jesus present in the Holy Sacrament onto the top of a high mountain so that everyone could see and adore Him.

She chose some among the girls she knew to establish the Guard of Honour. Her ideal was Jesus. The motto: “Jesus, loving You and making others love You”, became the programme of her life. Attracted by a more perfect life, she left her family in 1862 and joined the convent of the Sisters of Charity, founded by St. Bartolomea Capitanio in Lovere, Brescia. Everyone had the highest hopes for her but the wonderful and mysterious ways of Providence were different. The Postulant became seriously ill and was dismissed from the Institute.

After her recovery, she left her village due to the financial situation of her family and, surely not by chance, entered into domestic service, first with Rev. G. B. Rota, parish priest of Chiari, who a few years later was to become the Bishop of Lody, and afterwards with the Countess Fé-Vitali. These meetings and experiences were to be very important to Caterina. During the Christmas season of 1876 she reaffirmed her dedication to Jesus and wrote a very demanding way of conducting her life, to which she remained faithful.

On the Feast of Corpus Christi of 1878, with the permission of her confessor, she made the vow of chastity, which she had made on the morning of her secret Comunion, perpetual. Without neglecting her duties as a domestic servant, Caterina decided to educate the children of San Gervasio, Bergamo, guiding them towards an honest life of christian and social virtues.

By means of assiduous prayer, mortification, an intense interior life and the practice of the deeds of charity, Caterina prepared herself to accept the will of the Lord. Freed from family responsibilities after her parents’ death, the young woman sought a way to achieve her Eucharistic ideal.

She opened her heart to the Bishop of Bergamo Mgr Speranza, who was, at that time, in Bienno as a guest of the Fé-Vitali’s. He encouraged and assured her that her plans were the will of God.

In 1880, while in Rome with the Fé-Vitali’s, she succeeded in speaking with Pope Leo XIII about her plans to establish a religious institute devoted to the adoration of the Eucharist. The Pope changed them by inviting her to include the education of young female factory workers as well.

Supported by the new Bishop of Bergamo, Mgr Guindani, and by her “Father and Superior”, Rev. F. Spinelli, on December 15, 1882, Caterina, together with two of her friends began the Congregation of the Sacramentine Sisters of Bergamo with the first adoration hour of the Blessed Sacrament. On December 15, 1884 she took the name of Sister Geltrude of the Blessed Sacrament.

The new Congregation revealed itself to be God’s work. In fact, like all God’s work, it endured many adversities which sorely tried the “tender little plant”. However, this plant had already spread its deep roots into the rich soil of prayer, mortification and humility. It mattered little that Sister Geltrude and her Sisters, advised by the Bishop of Bergamo, Mgr Camillo Guindani, successor to Mgr Speranza, had to abandon their first “nest” in order to take refuge in Lodi. Mgr Rota, Bishop of Lodi, welcomed them and generously gave them a house in Lavagna di Comazzo, which temporarily became the Mother House of the Institute.

When innumerable difficulties had been overcome, Mgr Rota, with the Decree of September 8, 1891, gave canonical recognition to the Institute. On March 28, 1892, Mother Geltrude returned to Bergamo, the birthplace of the Congregation. There she gave it decisive and strong direction. God’s work was fulfilled!

The Foundress had guaranteed by then the continuation of the perpetual and public adoration of Jesus in the Blessed Sacrament and had instilled her precious ideas into her Sisters. Hers was a spirit of prayer, sacrifice, mortification, obedience, humility and charity mainly towards the poor. Therefore, she could approach her godly Bridegroom. On February 18, 1903, at midday, Mother Geltrude, bowing her head towards the Church of Adoration, began her eternal adoration. The news of her death quickly spread. Those who had known her, especially the poor and the humble, who were her favourite people, declared her a saint. On August 9, 1926, her venerable remains were taken from the cemetery of Bergamo to the Mother House of the Institute which she had established. There she lies in a special chapel next to the Church of Adoration.

By request of numerous people, on February 18, 1928, the Ordinary Process on the reputation of Mother Geltrude’s sanctity, her virtuous life as well as miracles, granted by God through Mother Geltrude’s intercession, began. It ended in 1939.

In the same year, Pius XII authorized the preliminary investigation of the Apostolic Process in the Cause of Mother Geltrude.

On April 26, 1961, the General Congregation of the then Congregation of Sacred Rites was held in the presence of Pope John XXIII. His Holiness promulgated the Decree on the heroic virtuous life experienced by Mother Geltrude Comensoli, who was then given the title of “Venerable”.

On October 1, 1989, Pope John Paul II declared her a Blessed Soul.

On April 26, 2009 Pope Benedict XVI entered her on the register of Saints.


GELTRUDE COMENSOLI


GELTRUDE COMENSOLI  nació en Bienno, Val Camónica (Brescia) Italia, el 18 de Enero de 1847.

El mismo día sus padres, Carlo y Anna Maria Milesi, llevaron a la fuente bautismal a su niña, la quinta de diez hijos, a la que le dieron el nombre de Caterina.

En su infancia Caterina conoció las alegrías de la inocencia y las despreocupaciones de la edad. Frecuentemente el Senõr le hacía sentir el deseo de unirse a El más intimamente y la pequeña era transportada a menudo por una fuerte necesidad de recogerse en la oración y en la meditación. A quien le preguntaba, ¿qué haces?, ella respondía: «Pienso».

Hacia los siete años, no resistiendo ya al urgente llamado de Jesús, una mañana muy temprano, envuelta en el amplio chal negro de su madre, fue a la Iglesia de S. Maria, y estando de pié en la balaustrada, recibió a escondidas su Primera Comunión. La pequeña gustó anticipadamente momentos de cielo y juró eterno amor a Jesús.

Al crecer Caterina se hizo cada vez más seria y más recogida, absorbida por el solo pensamiento de Jesús presente en la Eucaristía. Y se dio cuenta de que el Maestro queda largas días abandonado.

Con el pasar de los años se volvió un apóstol de la Eucaristía. Quería llevar a Jesús Sacramentado sobre una alta montaña para que todos lo vieran y lo adoraran.

Instituió entre sus mejores compañeras la Guardia de Honor, y elaboró el programa de su vida: «Jesús, amarte y hacerte amado». Pues, su ideal es Jesús.

Atraída hacia una vida más perfecta, dejó la familia y entró en el Instituto de Hijas de la Caridad, fundado por Santa Bartolomea Capitanio, en Lovere (Brescia).

Caterina hizo entender las mejores esperanzas sobre su persona, pero las admirables y misteriosas vías de la Providencia eran distintas: la Postulante, enferma, debió dejar el Instituto.

Regresó a su familia y encontró cambiadas las condiciones económicas, por esto abandonó el pueblo natal y entró en calidad de sirvienta, no casualmente, en la casa del Párroco de Chiari, el Padre Juan Bautista Rota, el cual, un año más tarde, fue elevado a la sede episcopal de Lodi. Así Caterina fue a servir en la casa de la condesa Fé-Vitali. Fueron encuentros y experiencias preciosas para la joven.

En la Navidad del 1876 reforzó su unión con Jesús y escribió de su puño y letra un comprometido metodo de vida, al que permanecerá siempre fiel.

En la fiesta del Corpus Christi del 1878, con el permiso de su confesor, hizo perpetuo el voto de virginidad, el mismo que había hecho el día de su Primera Comunión a escondidas.

Caterina, sin descuidar sus deberes de sirvienta, se dedicó a la educación de los niños de S. Gervasio (Bérgamo) y los guíó por la vía de la honrade y de las virtudes religiosas y sociales.

Con la mortificación, la oración asidua, una intensa vida interior y el ejercicio de las obras de misericordia Caterina se preparó a acoger la voluntad del Señor.

Libre de los vínculos familiares, después de la muerte de sus padres, Caterina trató de concretizar su ideal eucarístico. Abrió su corazón a Mons. Speranza, entonces Obispo de Bérgamo el cual se encontraba en Bienno como huésped de los condes Fé-Vitali, y le contó el proyecto de fundar una Congregación. El Prelado la animó y le aseguró que ésta es la voluntad de Dios.

En el 1880 encontrándose en Roma con sus patrones logró hablar con el Papa León XIII del proyecto de fundar un Instituto religioso dedicado a la Adoración. El Papa lo modificó sugeriendole de unir a la Adoración la educación a las jovenes obreras. Sostenida por el nuevo Obispo de Bérgamo, Mons. Güindani y por su «Padre y Superior», el sacerdote Francesco Spinelli, el 15 de Dicembre de 1882, Caterina con otras dos jovenes hizo la primiera hora de adoración.

Así empezó la obra de las Hermanas Sacramentinas de Bérgamo.

Mas tarde, el 15 de Diciembre de 1884, Caterina hizo la vestición religiosa y tomó el nombre de Sor Geltrude del Santísimo Sacramento. La nueva Congregación se reveló obra de Dios. Y como todas las obras de Dios tuvo que atraversar el vendaval de las adversidades, que puso a dura prueba el pequeño árbol. Este sin embargo ha echado ya profundas raíces en el terreno fecondo de la oración, de la mortificación y de la humildad. No importa que Sor Geltrude con las Hermanas debieron, siguiendo el consejo del mismo Obispo de Bérgamo, abandonar el primer nido y refugiarse en Lodi.

El Obispo de Lodi, Mons. Rota, acogió paternamente a aquellas hijas confiadas por el Obispo de Bérgamo. Con gesto magnánimo les donó una casa en Lavagna di Comazzo, que llegó a ser provisionalmente la Casa Madre del Istituto.

Superadas las pruebas, el 8 de Septiembre de 1891, Mons. Rota, con decreto especial, erigó canonicamente el Instituto. Madre Geltrude el 28 de Marzo de 1892 regresó a Bérgamo, cuna de la Congregación, a la cual dio un impulso decisivo y vital.

¡La obra de Dios está cumplida! La Fundadora ha dado todas las garantías de continuidad para la adoración pública perpetua a Jesús Sacramentado; ha transmitido a sus hermanas su precioso patrimonio espiritual: espíritu de oración, de sacrificio, de mortificación, de obediencia, de humildad, de caridad, sobre todo, hacia los pobres. Ya pudo ir al encuentro del Esposo. El 18 de Febrero de 1903, a medio día, inclinando la cabeza hacia la iglesia de la Adoración, Madre Geltrude empezó la adoración eterna. La notizia de su muerte se difundió por toda la región. Cuántos la conocieron, specialmente los pobres y humildes, tan queridos por ella, unánimemente la declararon santa.

El 9 de Agosto de 1926 el venerado cadáver fue transportado del cementerio a la Casa Madre, donde descansa en una capilla apropriada, contigua a la iglesia de la Adoración.

La Iglesia, escuchando el deseo de muchísima gente, el 18 de Febrero de 1928 abrió el proceso diocesano sobre la santitad de su vida, de sus virtudes y milagros que concluyó positivamente en 1939.

En el mismo año durante el pontificado de Pio XII, se abrió el Proceso Apostólico. El 26 de Abril de 1961, en presencia del Santo Padre Juan XXIII, tuvo lugar la Congregación General, después de la cual se dio lectura del Decreto sobre la heroicidad de las virtudes practicadas por Madre Geltrude Comensoli.

De immediato y por voluntad de Dios, fue declarada «Venerable».

El 1 de Octubre de 1989 Juan Pablo II la proclamó Beata.

El 26 de Abril de 2009, Bendito XVI la escribió en el libro de los Santos.




CATERINA VOLPICELLI


CATERINA VOLPICELLI, fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore, appartiene alla schiera degli «apostoli dei poveri e degli emarginati», che, nel secolo XIX, furono per Napoli un luminoso segno della presenza del Cristo «buon samaritano» che viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito, per versare sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza (cf. Messale Romano, 2 ed. Italiana, Roma 1983, Prefazio comune VIII, pag. 375).

Nata a Napoli il 21 gennaio 1839, Caterina ebbe nella sua famiglia, appartenente all’alta borghesia, una solida formazione umana e religiosa. Nel Reale Educandato di San Marcellino, sotto la guida sapiente di Margherita Salatino (futura fondatrice, con il Beato Ludovico da Casoria, delle Suore Francescane Elisabettiane Bigie), apprese le lettere, le lingue e la musica, cosa non frequente per una donna del suo tempo.

Guidata poi dallo Spirito del Signore, che le rivelava il progetto di Dio attraverso la voce di sapienti e santi Direttori spirituali, Caterina che intanto si accaniva a rivaleggiare con la sorella e a brillare nella società, frequentando teatri e spettacoli di danze, rinunciò con prontezza agli effimeri valori di una vita elegante e spensierata, per aderire con generosa decisione ad una vocazione di perfezione e di santità.

L’incontro occasionale con il Beato Ludovico da Casoria, il 19 settembre 1854, a «La Palma» in Napoli, fu, come affermò la stessa Beata «un tratto singolare di grazia preveniente, di carità e di predilezione del Sacro Cuore innamorato delle miserie della sua Serva». Il Beato l’associò all’Ordine Francescano Secolare e le indicò, come unico scopo della sua vita, il culto del Sacro Cuore di Gesù, invitandola a restare in mezzo alla società, nella quale doveva essere «pescatrice di anime».

Guidata poi dal suo confessore, il barnabita P. Leonardo Matera, il 28 maggio 1859 Caterina entrò tra le Adoratrici perpetue di Gesù Sacramentato, uscendone però ben presto, per gravi motivi di salute.

Altro era il disegno di Dio su Caterina. Lo aveva ben intuito il Beato Ludovico che spesso le ripeteva: «Il Cuore di Gesù, o Caterina, questa è l’opera tua!».

Su indicazione del suo confessore, la Volpicelli, conosce il foglio mensile dell’Apostolato della Preghiera in Francia, ricevendo da lui notizie dettagliate della nascente Associazione, con il diploma di Zelatrice, il primo giunto a Napoli. Nel luglio del 1867, P. Ramiére visita il palazzo di Largo Petrone alla Salute, in Napoli, dove Caterina sta meditando di stabilire la sede delle sue attività apostoliche «per far rinascere nei cuori, nelle famiglie e nella società l’amore per Gesù Cristo».

L’Apostolato della Preghiera sarà il cardine dell’intero edificio spirituale di Caterina, che le consentirà di coltivare il suo ardente amore per l’Eucaristia e diventerà lo strumento di un’azione pastorale avente le dimensioni del Cuore di Cristo e perciò aperta ad ogni uomo, sempre a servizio della Chiesa, degli ultimi e dei sofferenti.

Con le prime zelatrici, il 1° luglio 1874 Caterina fonda il nuovo Istituto delle «Ancelle del Sacro Cuore», approvato in primo tempo dal Cardinale Arcivescovo di Napoli, il Servo di Dio Sisto Riario Sforza, e in seguito, il 13 giugno 1890, da Papa Leone XIII, che accorda alla nuova Famiglia religiosa il «Decreto di lode».

Premurosa delle sorti della gioventù, aprì poi l’orfanatrofio delle «Margherite», fondò una biblioteca circolante e istituì l’Associazione delle Figlie di Maria, con la saggia guida della Venerabile M. Rosa Carafa Traetto (1890).

In breve tempo aprì altre case: a Napoli nel Palazzo Sansevero e poi presso la Chiesa della Sapienza, a Ponticelli, dove le Ancelle si distinsero nell’assistenza alle vittime del colera del 1884, a Minturno, a Meta di Sorrento e a Roma.

Il 14 maggio 1884 il nuovo Arcivescovo di Napoli, Cardinale Guglielmo Sanfelice, O.S.B., consacrò il Santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù, che la Volpicelli aveva fatto erigere accanto alla Casa Madre, destinandolo particolarmente all’adorazione riparatrice chiesta dal Papa per il sostegno della Chiesa, in un’epoca difficile per la libertà religiosa e per l’annunzio del Vangelo.

La partecipazione di Caterina al Primo Congresso Eucaristico Nazionale celebratosi a Napoli nel 1891 (19-22 novembre), fu l’atto culminante dell’apostolato della fondatrice delle Ancelle del Sacro Cuore; in quell’occasione allestì una ricca esposizione di arredi sacri, destinati alle chiese povere, organizzò l’adorazione Eucaristica nella cattedrale e fu l’animatrice di quel gran movimento di anime che sfociò nell’impressionante «Confessione e Comunione generale».

Caterina Volpicelli si spense a Napoli il 28 dicembre 1894 offrendo la sua vita per la Chiesa e per il Santo Padre.

La causa di Beatificazione e Canonizzazione dell’insigne testimone della carità del Cuore di Cristo, dopo l’istruzione del Processo Ordinario negli anni 1896-1902 nella Curia ecclesiastica di Napoli, fu ufficialmente introdotta presso l’allora Sacra Congregazione dei Riti l’11 gennaio 1911.

Il 25 marzo 1945 il Santo Padre Pio XII ne dichiarava l’eroicità delle virtù, attribuendole il titolo di Venerabile.

Il 28 giugno 1999 Sua Santità, Giovanni Paolo II, approvava la lettura del decreto di Beatificazione.

Il 29 aprile 2001 Sua Santità Giovanni Paolo II la proclamava Beata.

Il 6 dicembre 2008 Sua Santità Benedetto XVI ha disposto la proclamazione del Decreto sul miracolo per la Canonizzazione.


CATALINA VOLPICELLI


CATALINA VOLPICELLI  Fundadora de las Esclavas del Sagrado Corazón, pertenece a la compañia de los «apóstoles de los pobres y de los marginados» que, en el siglo XIX, fueron para Nápoles un signo resplandeciente de la presencia del Cristo «buen Samaritano» que se acerca a cada hombre herido en el cuerpo y en el espiritu, para derramar sobre sus heridas el aceite de la consolación y el vino de la esperanza (cf. Misal Romano, 2 ed. Italiana, Roma 1983, Prefacio común VIII, pág. 375).

Nacida en Nápoles el 21 de enero de 1839, Catalina tuvo en su familia, perteneciente a la alta burguesia, una solida formación humana y religiosa. En el Colegio Real de San Marcelino, bajo la sabia guía de Margarita Salatino (futura cofundadora, con el Beato Ludovico de Casoria de las Hermanas Franciscanas Elizabetinas Bigie), aprendió letras, idiomas y música, cosa que no era usual para una mujer de su tiempo.

Guiada por el Espíritu del Señor, que le revelaba el plan de Dios a través de la voz de sabios y santos Directores espirituales, Catalina que mientras insistía en rivalizar con su hermana y en brillar en la sociedad, frequentando teatros y espectáculos de danzas, rápidamente renunció a los valores efimeros de una vida elegante y despreocupada, para adherir con generosa decisión a una vocación de perfección y de santidad.

El encuentro ocasional con el Beato Ludovico de Casoria, el 19 de septiembre de 1854, en «La Palma» en Nápoles, fue, como afirmó ella misma: «un momento singular de la gracia obsequiosa, de la caridad y de la predilección del Sagrado Corazón enamorado de las miserias de su Sierva». El Beato la associó a la Orden Franciscana Seglar y le indicó como única finalidad de su vida, el culto al Sagrado Corazón de Jesús, invitándola a permanecer en medio a la sociedad, en la cual debia ser «pescadora de almas».

Guiada por su confesor, el barnabita P. Leonardo Matera, el 28 mayo de 1859 Catalina entró a formar parte de las Adoradoras perpetuas de Jesús Sacramentado, pero en poco tiempo se retiró, por graves motivos de salud.

Otro era el designio de Dios para Catalina. Lo habia intuido muy bien el Beato Ludovico que a menudo le repetia: «El Corazón de Jesús, oh Catalina, ésta es tu obra!».

Por indicación de su confesor, la Volpicelli conoce la hoja mensual del Apostolato de la Oración «Le Messager du Coeur de Jesús». Escribe al P. Enrique Ramière, director general del Apostolado de la Oración en Francia, recibiendo de él noticias detalladas de la naciente Asociación, con el Diploma de Celadora, el primero llegado a Italia. En julio de 1867, P. Ramière visita el edificio de Largo Petrone en la Salud, en Nápoles, donde Catalina está pensando establecer la sede de sus actividades apostólicas «para hacer renacer en los corazones, en las familias y en la sociedad el amor por Jesucristo».

El Apostolato de la Oración será el centro de todo la estructura espiritual de Catalina, que le permitirá cultivar su amor ardente por la Eucaristia y se convertirá en istrumento de una acción pastoral que tiene las dimensiones del Corazón de Cristo y por lo tanto abierta a todo hombre, siempre al servicio de la Iglesia, de los últimos y de los que más sufren.

Con las primeras celadoras, el 1 julio de 1874 Catalina funda el nuevo Instituto de las «Esclavas del S. Corazón, aprobado en primera instancia por el Cardenal Arzobispo de Nápoles, el Siervo de Dios Sixto Riario Sforza, y posteriormente, el 13 junio de 1890, por el Papa León XIII que concede a la nueva familia religiosa el Decreto de alabanza».

Interesada en el futuro de la juventud, abrió enseguida el asilo de huérfanas las «Margaritas», fundó una biblioteca circulante e instituyó la Asociación de las Hijas de Maria, con la guia sabia de la Venerable M. Rosa Carafa Traetto (1890).

En poco tiempo abrió otras casas: en Nápoles en el edificio San Severo y luego junto a la iglesia de la Sabiduria, en Ponticelli, donde las Esclavas se distinguieron en la asistencia a las victimas del colera del año 1884, en Minturno, en Meta de Sorrento y en Roma.

El 14 mayo de 1884, el nuevo Arzobispo de Nápoles, el Cardenal Guillermo Sanfelice, OSB, consagró el Santuario dedicado al Sagrado Corazón de Jesús, que la Volpicelli habia hecho eregir junto a la Casa Madre de sus obras, destinándolo particularmente a la adoración reparadora, solicitada por el Papa para el sostén de la Iglesia, en una época dificil para la libertad religiosa y para el anuncio del Evangelio.

La participación de Catalina al primer Congreso Eucaristico Nacional, que se celebró en Nápoles en el año 1891 (19-22 noviembre), fue el acto cumbre del apostolato de la Fundadora de las Esclavas del S. Corazón; en aquella ocasión montó una rica exposición de ornamentos sagrados, destinados a las Iglesias pobres, organizó la adoración eucaristica en la Catedral y fue la animadora de aquel gran movimiento de almas que culminó en la impressionante: «Confesión y Comunión general».

Catalina Volpicelli muere en Nápoles el 28 diciembre de 1894 ofreciendo su vida por la Iglesia y por el Santo Padre.

La Causa de beatificación y canonización de la insigne testigo de la caridad del Corazón de Cristo, después de la instrucción del Proceso Ordinario en los años 1896-1902 en la Curia eclesiastica de Nápoles, fue oficialmente presentada ante la entonces S. Congregación de los Ritos el 11 enero de 1911.

El 25 de marzo de 1945 el Santo Padre, Pio XII declaraba la heroicidad de las virtudes, atribuyéndole el titulo de Venerable.

El 28 de junio de 1999 Su Santidad Juan Pablo II, aprobó la lectura del Decreto para su Beatificación.

El 29 de abril del 2001 S.S. Juan Pablo II la proclamo Beata.

El 6 de diciembre del 2008 el Santo Padre Benedicto XVI promulgó el Decreto del milagro para la Canonización.


CATERINAVOLPICELLI


CATERINAVOLPICELLI, Fundadora das Servas do Sagrado Coração, pertence à classe dos «apostólos, dos pobres e marginalizados», que no século XIX foram para Nápolis um luminoso sinal da presença de Cristo Bom Samaritano», que se aproxima de cada homem que sofre no corpo e no espírito, para derramar sobre suas feridas, o óleo da consolação e o vinho da esperança (cf. Missal Romano 2).

Nasceu em Nápolis no dia 21 de janeiro de 1839, Caterina recebeu no seio de sua familia de alta burguesia, uma sólida formação humana e religiosa. No colégio educandário San Marcelino, soba guia sábia de Margherita Salatino (futura fundadora com o Bem Aventurado Ludovico da Casoria das Irmãs Franciscanas Elisabetinas Bigie), aprendeu letras, linguas e música, coisa não frequente para as mulheres do seu tempo.

Guiada então pelo Espirito do Senhor, que lhe revelava o projeto de Deus através da voz dos sábios e santos diretores espirituais, Caterina que, no entanto, julgava-se mais importante que a sua irmã, a brilhar na sociedade frequentando teatros e espetáculos de danças, renunciou com prontidão os efêmeros valores de uma vida elegante e despreocupada, para aderir com generosa decisão a uma vocação de perfeita santidade.

O encontro ocasional com o Bem Aventurado Ludovico da Casoria em 19 de setembro de 1854, a «La Palma» em Nápolis, foi como afirmou a mesmaBem Aventurada: «ummomento singular de graça providencial, de caridade e de predileção do S. Coração, enamorado pelas miserias de sua humilde serva». O Bem Aventurado associou à Ordem Franciscana Secular e indicou como único objetivo de sua vida, o culto ao Sagrado Coração de Jesus, convidando-a para permanecer em meio à sociedade, na qual deveria «ser pescadora de almas».

Guiada, então pelo seu confessor, o barnabita Pe. Leonardo Matera, em 28 de maio de 1859, Caterina entrou entre as Adoradoras Perpétuas de Jesus Sacramentado, saindo porém depois de pouco tempo, por graves motivos de saúde.

O designio de Deus sobre Caterina era outro, havia bem entendido o Bem Aventurado Ludovico da Casoria que muitas vezes dizia: «O Coração de Jesus è a tua obra, Caterina!».

Soba indicação do seu Confessor, Caterina conhece o bilhete mensal do Apostolado da Oração da França, recebendo através dele noticias detalhadas da nascente associação com o diploma de Zeladora, sendo o primeiro que chegou na Itália. Em julho de 1867, Pe. Ramière visita o Palácio de Largo Petrone em Nápolis, onde Caterina pensava estabelecer a sede de suas atividades apostólicas, para «fazer renascer nos corações, nas familias e na sociedade o amor por Jesus Cristo».

O Apostolado da Oração, será o ponto central da espiritualidade de Caterina, que a impulsionará a cultivar o seu ardente amor pela Eucaristia, através do qual será instrumento de Ação Pastoral sobas dimensões do Coração de Cristo, abrindo-se a cada homem, sempre a serviço da Igreja, dos últimos e dos sofredores.

Com as primeiras Zeladoras, no dia 1° de julho de 1874, Caterina funda o novo Instituto das Servas do Sagrado Coração, aprovado antes pelo Cardeal Arcebispo de Nápolis, o Servo de Deus Sisto Riario Sforza, e em seguida aos 13 de junho de 1890, pelo Papa Leão XIII, que concede à nova família religiosa o «Decreto de louvor».

Preocupada pela sorte da juventude, abriu o orfanato das «Margherite», fundou uma biblioteca circulante e instituiu a Associação das Filhas de Maria, com a sábia guia da venerável Maria Rosa Carafa Traetto († 1890).

Em breve tempo abriu outras casas: em Nápolis, no Palácio San Severo e depois na Sapienza, em Ponticelli, onde as Servas distinguiram- se na assistência às vítimas da cólera em 1884, em Minturno, em Meta di Sorrento e em Roma.

Aos 14 de maio de 1884 o novo Arcebispo de Nápolis, o Cardeal Guglielmo Sanfelice, OSB, consagrou o Santuário dedicado ao Sagrado Coração de Jesus, que a Volpicelli havia construído ao lado da Casa Madre, destinando-o particolarmente à adoração reparadora pedida pelo Papa, para sustentar a Igreja, num periodo dificil para a liberdade religiosa e para o anúncio evangélico.

A participação de Caterina no primeiro Congresso Eucaristico Nacional, celebradoem Nápolis em 1891 (19-22 de novembro) foi um ato culminante do Apostolado da Fundadora e das Servas do Sagrado Coração. Naquela ocasião, realizou uma rica exposição de paramentos sacros destinados ás igrejas necessitadas, organizou a Adoração Eucaristica na Catedral e foi a animadora daquele movimento, impulsionando muitas pessoas à confissão e «Comunhão geral».

Caterina Volpicelli, morreu em Nápolis no dia 28 de dezembro de 1894, oferecendo a sua vida pela Igreja e o Santo Padre.

A causa de Beatificação e Canonização das ensígnes testemunhas de caridade do Coração de Cristo, após a instrução do Processo Ordinário nos anos 1896-1902 na Cúria Eclesiástica de Nápolis, foi oficialmente introduzida naquele tempo, à Sagrada Congregação dos Ritos aos 11 de janeiro de 1911.

Em 25 de março de 1945 o Santo Padre Pio XII, declarava as virtudes heróicas de Caterina, atribuindo-lhe o titulo de Venerável.

Em 28 de junho de 1999, Sua Santidade João Paulo II, aprovou a leitura do decreto da sua Beatificação.

No dia 29 de abril de 2001 Sua Santidade Papa João Paulo II a proclamou Bem-aventurada.

No dia 6 dezembro de 2008 o Santo Padre Papa Bento XVI dispôe a promulgação do Decreto a respeito do milagre para a Canonização.






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